Pare a me che il poetare di Emilio Luzi (e la mia è solo la risonanza di un lettore, senza alcuna pretesa di titolarità critica) riverberi l’iridescenza della grecità più profonda definita con un neologismo dal grande poeta Yiannis Ritsos, Ρωμιοσύνη (Romiosyni). Mi colpisce con particolare intensità la naturalezza e risonanza con cui leggendo in rapida sequenza l’originale e il tradotto, e successivamente il tradotto e l’originale con la stessa immediata sequenza, tutto si tiene, nel nitore e nella precisione delle parole, così come nell’integrità compositiva della lirica. Ugualmente i sentimenti di lontana malinconia o di antico dolore, così come il partecipare o il contrapporsi delle cose ai desideri del poeta, si incontrano senza intenzionalità esterna ma con naturale consonanza. Emilio Luzi, come ogni poeta di autentica vaglia, dimostra, a mio parere, che la poesia in quanto tale, le sue lingue e i suoi orizzonti costituiscono una concezione del mondo e della vita che li libera dalla violenza, dalla mediocrità, dallo squallore e dalla miseria.