“Una roccia a picco - tutto il giorno a bere il solleone,
a trattenerlo nelle viscere di fronte al mare,
e tu con la schiena appoggiata alla roccia, con il petto
aperto verso il mare, - per metà fuoco, per metà rugiada,
tagliato obliquamente, doppio, in un’unica lotta
per unire l’acqua con la pietra”.
Le
parole del grande poeta Ghiannis Ritsos, che qui nacque nel 1909,
condensano con l’affascinante sintesi che solo la poesia sa creare la
natura ambigua e intrigante di Monemvasià: un promontorio a picco
sull’Egeo, che vive della precaria armonia degli opposti: l’azzurro del
mare e l’ocra delle tegole, il grigio della montagna e il blu del cielo,
la verticalità della roccia e l’orizzontale pianura marina, la
scabrosità della pietra e la delicatezza dei fregi bizantini. È la
“perfetta armonia degli opposti” di cui parlava il filosofo Eraclito, è
l’armonia dell’arco e della lira.
Monemvasià
è un palinsesto di stili e di epoche. In poco più di un chilometro
quadrato convivono e dialogano millecinquecento anni di storia.
Bizantini, Veneziani e Ottomani si sono contesi per secoli questo
sperone di roccia, l’hanno decorato di chiese e di edifici sontuosi, di
mura e di torri; l’hanno scavato in un labirinto di strade e di vicoli,
di scalinate e di vòlte, l’hanno ammirato, adulato, desiderato,
conquistato, perduto.
Questo
libro si cimenta nella difficile impresa di ripercorrere in sintesi
questi venticinque secoli di storia, attraverso i documenti, le
testimonianze artistiche, le tradizioni orali, per ricostruire
l’immagine di un borgo che si meritò, fra i molti altri, l’appellativo
di “Signora del mare”.